venerdì 26 giugno 2009

Brani di discorso notturno a me stesso

In Scrivere con la voce spiego come è stato scritto uno dei testi che fanno parte dell'opera alla quale sto lavorando. Per rendere l'idea di quale testo emerga dallo 'scrivere con la voce', pubblico qui qualche brano.
(Rileggendolo ora, questo piccolo frammento mi sembra anche una buona approssimazione ad alcuni degli argomenti chiave attorno ai quali sto ragionando).


La conoscenza è frammentaria, caotica, scomposta: l'informatica infantile decide che questo caos è ingestibile, perciò sceglie di non vedere la natura complessa della conoscenza, e la sostituisce con una rappresentazione.
L'informatica infantile, nel solco della tradizione libresca, legittimata da questa, sceglie di considerare gestibile solo l'informazione strutturata, chiusa in una forma, ordinata, organizzata. L'assenza di struttura è vista come inferno, perché comporta l'indominabilità, e l'allontanamento, la distanza dall'ordine.
Da qui l'idea che la ridondanza è il peccato. Il dato vale se univoco. L'idea che il libro racchiude -e quindi rende gestibile- la conoscenza, arriva al suo estremo nell'idea che il dato accettabile è solo il dato univoco. Solo questo dato l'informatica infantile concepisce, solo a partire questo dato l'informatica infantile è in grado di costruire informazione. Ma è una informazione deupauperata in partenza. La conoscenza come polifonia, come molteplicità, come ricca diversità è negata a priori.
Torniamo ancora alla metafora del libro: solo il libro, solo quel libro contiene la verità. Per esprimere quel concetto può essere usata solo quella parola. La varianza è accettata solo come scostamento dalla norma. Il miglioramento progressivo della qualità consiste nell'eliminare le varianze, che sono intese come errori, perché c'è, nel cielo di questa informatica, l'idea di ottimizzazione. Un dato è esatto, valido, gli altri sono da scartare, sono puro rumore. La codifica separa la verità dall'errore. (...)
Si può fare qui una connessione con l'utopia di Ulrich, nell'Uomo senza qualità: il tentativo di perseguire un obiettivo complesso, tenere insieme l'esattezza e l'anima. Un'utopia, perché la massima organizzazione moderna, che Ulrich ha sotto gli occhi, la burocrazia austroungarico, funziona di per sé e alla fin fine contro se stessa, senza lasciare spazio all'anima. Così l'informatica ci si mostra come matematica intesa non come misterioso ordine che può essere portato alla luce, ma invece come ordine già esplicitato e imposto dall'alto, imposto alla conoscenza facendolo scendere dall'alto, facendolo scendere dal cielo, facendolo discendere dall'idea.
Eccoci così alla manifestazione massima dell'informatica strutturata, organizzata fino al punto da divenire un'organizzazione sociale. Fino al punto che il software diventa lo strumento di governo e di controllo sociale. Questa è l'informatica degli anni sessanta.
Una informatica ancora comunque mitigata dal pragmatismo americano, che continuava a garantire una certa libertà: attraverso il Cobol descrivo, rappresento la mia organizzazione, fino ad irrigidirla in modello di controllo – ma è sempre la mia organizzazione, non privata delle sue caratteristiche distintive: si dà per scontato che ogni azienda è diversa dall'altra. (...)

Dunque il dato inteso come unità elementare, mattone buono per costruire edifici, cattedrali di dati perfettamente ordinati, sistemi lontani da ogni ridondanza, privati di ogni ricchezza che non sia previamente allocata, legata ad una funzione.
Si può fare anche un ragionamento estetico, c'è anche una estetica delle architetture informative, ma qui non è in gioco il confronto tra diversi stili: tra art nouveau e razionalismo o tra gotico e romanico e barocco. questi sono culture organizzative di una di queste barocco il gotico romanico che ce che si manifesta ma qui è in gioco qualcosa di più profondo e perché sia il il barocco che il gotico che il romanico se andiamo a guardare solo frutto di contaminazioni con l'ambiente, sono adattamento, non sono modelli di imposti dall'esterno: un esempio è il riuso di colonne, di pezzi di templi romani nel romanico, un altro esempio nelle eccesso barocco di orpelli e che non hanno una giustificazione tecnica, ma invece simbolica: manifestare ricchezza, disponibilità al gioco, accettazione del mistero.
Nell'informatica infantile invece non c'è niente di barocco, e se c'è, appunto, la ridondanza è intesa come peccato, come errore. L'informatica infantile cosa fa: porta all'estremo il modello che sta alla base della transazione: bene versus denaro: lettera data, e quindi lettera che vale solo perché è stata data in quel preciso; negazione dell'esistenza di ogni dato che non sia passato al vaglio delle le regole previste a priori. La transazione è imporre alle informazioni, alla conoscenza, il passaggio attraverso queste forche caudine.
L'idea è che l'informazione buona, l'informazione utile può essere costruita solo eliminando la ridondanza.
Eppure di per sé il magma di conoscenza destrutturata che è l'insieme informe di queste unità elementari, di questi atomi, di questi quanti che possiamo chiamare dati, questo insieme è ridondante. (...)

Ma l'informatica tradizionale si è data come fondamento l'impossibilità di gestire più informazioni riguardanti lo stesso argomento. E quindi ha costruito strumenti che sono i database: la conquista, il momento di maggiore maturità dell'informatica infantile, negli anni 60. I database ci appaiono come contenitori costruiti per funzionare sulla base di transazioni. Il dato che può entrare, il dato che può essere accolto è solo il dato che corrisponde a regole che prevedono, avendolo definito a priori, che in quel luogo possa esser conservata solo quella determinata porzione di conoscenza: solo quelle informazioni, quegli insiemi di dati. E questi insiemi di dati possono essere forniti solo da un determinato fornitore.
Quindi, invece di avere sotto lo sguardo -sia pure con tutto il suo mistero, e con la consapevolezza di non poterla completamente dominare- invece di avere sotto gli occhi, in mano, questa ricchezza che è l'informazione, ho -come accade con il libro, in un modo che porta all'estremo i limiti del libro- solo una informazione puntuale, una informazione che tiene conto solo del punto di vista dell'esperto legittimato. E quindi non c'è conoscenza che cresce attraverso la fertilizzazione incrociata, attraverso la pluralità dei punti di vista. C'è solo conoscenza morta. Non c'è arricchimento, perché non c'è confronto, non c'è dialogo, non c'è adattamento, non c'è evoluzione. E' conoscenza morta, così come è conoscenza morta la conoscenza del libro. La conoscenza che c'è nelle procedure aziendali è conoscenza morta – oppure potremmo dire: conoscenza uccisa.

Qui possiamo vedere emergere il modello opposto al modello del database. Il database prevede a priori un'architettura che definisce, pro-grammandola, scrivendo prima, quali dati andranno conservati, a quali verifiche di accettabilità devono essere sottoposti, in quale luogo devono essere conservati, quale dev'essere la fonte di quei dati. E' un modello che si vanta della sua povertà, dell'avere eliminato tutti i dati che sono una potenziale ricchezza, ma che confondono la semplicità di questo quadro, come se fosse impossibile fare altrimenti, come se l'uomo al lavoro non fosse in grado di dominare la complessità, di giocarci, di vivervi immerso.
L'informatica matura ci propone un passaggio che a questo punto possiamo anche vedere nella sua manifestazione in fondo semplice. (...) Semplice perché il concetto di base è che l'idea dell'informazione strutturata è solo il frutto di un bisogno di rassicurazione del gestore dell'informazione. E' solo un portare all'estremo il modello del libro, con la sua struttura intesa come necessaria. Ma di per sé e l'informazione non è strutturata. L'informazione è in continua ristrutturazione. L'informazione è il manifestarsi -a fronte di domande determinate, di volta in volta diverse- di insiemi di conoscenza, di accorpamenti di volta in volta differenti di conoscenze emergenti dal magma sottostante. (...)

Qui si manifesta la fallacia dell'approccio “garbage in, garbage out”: l'idea che la colpa della cattiva informazione sta nelle cattive domande che l'utente fa a chi si occupa di costruire questi database, questi sistemi informativi, queste procedure. In fondo è il modo di costruirsi l'alibi di chi si occupa di informatica.
Con l'occhio dell'informatica adulta, il processo significativo non è questo processo di ordinamento, di assoggettamento a una struttura previa -che di per sé invece, stiamo dicendo, è proprio un abbassamento del senso, una rinuncia ad un senso più pieno- il processo significativo è invece la continua estrazione, a fronte di diverse esigenze, da questa massa di dati, di provvisorie strutturazioni funzionali a esigenze conoscitive, a aspettative di gioco, a volontà, a casi, a bisogni.
E quindi il modello che si oppone al modello del database è un modello che metacodifica il dato. Al dato è aggiunta una etichetta, un metadato che descrive fonte, contenuto. E anche le caratteristiche semantiche: il ruolo che può assumere quel dato, quell'unità minima, all'interno della costruzione di un discorso, di un percorso di senso.
Di quel singolo dato aziendale m'interessa non solo la versione proposta dell'ente che è deputato ufficialmente a gestire quelle informazioni; a me interessa il dato di chi vive nel sottoscala dell'azienda, il dato di chi li fa dirigente, mi interessa il dato di chi si occupa di un'altra funzione aziendale. Facciamo un esempio: le politiche retributive: non interessa solo conservare l'informazione di quanto il direttore del personale decide di pagare una tal persona, interessa anche conservare l'informazione di quanto quella persona vorrebbe essere pagata, di quanto ognuno degli altri dipendenti di quell'azienda, ognuno dei clienti e ognuno dei fornitori pensano che quella persona debba essere pagata.
Come si fa a conservare queste informazioni? Si aggiunge all'informazione una metainformazione che dice: 'questa è l'opinione, è la versione del dato della persona Pippo o della persona Pluto'. Dopo, si potrà decidere che se si deve fare una chiusura contabile si tiene conto solo dell'informazione del Direttore del Personale o del responsabile di Finanza e Controllo. Ma questo non significa che gli altri dati non siano significativi, e che non possono essere usati per comprendere qual è il clima aziendale, la cultura aziendale, il come si sta producendo valore, o per fare strategie, perché il lavorare e portare a fattor comune, portare a valore, il contributo di tutti coloro che lavorano.
Rispetto questo obiettivo -descrivere la conoscenza portata alla luce dal lavoro- l'informatica tradizionale, sceglie di restare infantilmente legata al bisogno di regole esterne, e si offre come strumento di controllo. Rispetto alla costruzione sociale di ricchezza, alla creazione di valore, questa informatica gioca contro.
All'opposto, il diverso paradigma di una informatica che coglie l'emergenza: la conoscenza è colta nel suo prendere forma. A fronte di una domanda, di quella query che posso fare con il motore di ricerca, dicendo: tirami su queste informazioni insieme a quest'altra, la conoscenza prende forma. Una forma transeunte, una forma subottimale, la forma assunta in un certo momento, che è valida (solo) per permettermi di rendere fruibile l'informazione in quel momento, in cui contesto.
Quindi non si nega l'esigenza di una struttura come condizione necessaria per rendere fruibile l'informazione, ma quella struttura sarà la struttura che m'aiuta in quel momento lì, per rendere fruibile un insieme di informazioni. Esisteranno enne altre strutture potenziali.
Mentre la conoscenza nella sua forma di dato, di unità elementare, di insieme magmatico, vive senza bisogno di struttura.

2 commenti:

  1. In questi giorni mi sono trovato a riflettere sull'opposizione tra informatica strutturata e informatica moderna.

    Il motivo è la lettura di "Il linguaggio dei nuovi media" dI Manovich.
    Nel capitolo dedicato alle forme egli propone il database come "nuova forma simbolica nell'era del computer" e dopo aver definito la costruzione dei nuovi oggetti mediali come "la costruzione dell'interfaccia migliore per un database multimediale o come la definizione di metodi di navigazione attraverso rappresentazioni spazializzate", ci mostra come al di là delle apparenze tutti gli oggetti siano database.

    Questa affermazione non sembrerebbe contrastare con quanto detto nell'articolo sopra?

    Riflettendo un po' mi sono accorto che forse l'inganno sta sul modo in cui consideriamo il termine database: se come base dati destrutturata (es: il web) oppure come base dati con una propria struttura.
    Se lo consideriamo il primo significato i discorsi tornano e si integrano.

    Ho notato poi come in effetti Manovich abbia ragione a dire che sotto i vari oggetti mediali si trova un database.
    Questo database, mi sembra di notare, raramente si presenta come destrutturato negli oggetti mediali.
    Mi chiedo quindi se il motivo di questo fatto si possa ritenere come un retaggio dell'informatica infantile e del fatto che gli autori non siano molti disposti a cedere parte della loro autorialità ai lettori, e quindi preferiscono porre dei limiti alla navigabilità dei contenuti e definire i percorsi possibili e quelli non possibili.

    E questo in un mondo dove l'autore potrebbe benissimo fornire materiali non organizzati i quali verrano fruiti dall'utente utilizzando gli strumenti dell'information-retrieval.

    Un suo studente

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  2. Secondo me sì, le cose stanno come nel commento qui sopra. Manovich -del resto il libro è del 2001: The Language of New Media, Massachusetts Institute of Technology-, per farla breve, non ha ben presente quello che oggi chiamiamo Web Semantico, o comunque 'base dati' di oggetti destrutturati, ognuno suscettibile di coupling, di connessione con altri oggetti. Ciò che fa la differenza è l'assenza di una struttura necessaria, data a priori. Dire che c'è un data base, a questo punto, è un truismo. Il database è un semplice 'baule'.

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